San Benedetto, 73 capitoli per la Regola dei monaci

San Benedetto, 73 capitoli per la Regola dei monaci

San Benedetto, 73 capitoli per la Regola dei monaci benedettini: a Montecassino, nel 534, San Benedetto da Norcia, padre del monachesimo occidentale, con la sua celebre Regola dettò i principi e le norme pratiche della vita in monastero, compreso il numero di portate a tavola.

 

La Regola di San Benedetto (in latino Regula monachorum o Sancta Regula) è stata scritta dal Santo di Norcia, patrono d’Europa, presumibilmente nel 534, nell’Abbazia di Montecassino. Non si trattava della prima e unica regola di vita monastica scritta in quell’epoca, ma sicuramente si distingueva dalle altre per chiarezza e organicità. È per questo che s’impose come “LA” regola di vita monastica in tutto l’Occidente cristiano.

Un successo non immediato

A dire il vero, la diffusione della Regola di San Benedetto non fu immediata. Per un paio di secoli continuò a convivere con altre regole monastiche. Ma la sua chiarezza, il disegno organico che conteneva, una certa moderazione nei precetti rispetto alle dirette “concorrenti” (tipo quella di San Colombano, molto più rigida), nonché il favore dei re Franchi (in primis Carlo Magno) ne determinarono il successo.

73 capitoli per ogni situazione

La Regola è composta da un prologo e 73 capitoli ed è scritta con uno stile molto semplice: Benedetto si rivolge ai monaci con tono familiare e amorevole. Scrive, infatti, nel prologo:

Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro, e tendi l’orecchio del tuo cuore; accogli di buon animo i consigli di un padre che ti vuole bene […]. Speriamo di non stabilire nulla di aspro e gravoso.

La bellezza e la particolarità della Regola è l’intreccio di principi spirituali (come quelle riguardanti la preghiera, il silenzio, l’obbedienza, l’umiltà) con norme molto pratiche e dettagliate sulla vita quotidiana nel monastero.

Ci sono, ad esempio, regole sui dormitori:

Se è possibile dormano tutti nello stesso locale, ma se il numero rilevante non lo permette, riposino a dieci o venti per ambiente insieme con gli anziani incaricati della sorveglianza … […]. Dormano vestiti, con ai fianchi semplici cinture o corde, senza portare coltelli appesi al lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno” (capitolo XXII)

Ma anche regole riguardanti il cibo da mettere a tavola:

Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato – a seconda delle stagioni – dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte, in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi dell’altra […]. Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l’abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento, purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall’ingordigia. Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola” (capitolo XXXIX)

E norme sull’ospitalità:

Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo […]. Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore […] Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile” (capitolo LIII) 

Furono date regole anche sul vino per limitarne l’uso eccessivo…

Ma nella Regola c’è scritto “ora et labora”?

Per finire, una precisazione. Il motto “ora et labora”, che viene associato alla vita monastica benedettina, diversamente da quanto si possa pensare non è presente nella Regola. Peraltro Benedetto, quando nella Regola stabilisce la “scaletta” della giornata del monaco, alla preghiera e al lavoro aggiunge anche la lettura dei testi sacri, attività del tutto assente nel famoso motto.