Anticamente, i monaci producevano quattro tipi di birra: una poco alcolica a acidula per se stessi; una più forte e nutriente per i pellegrini; una più consistente per l’abate; e, per finire, una di qualità superiore per i vescovi e i nobili che visitavano il monastero.
Il rapporto tra birre e monasteri è da sempre molto stretto. Fin dal Medioevo, i monaci hanno cominciato a produrre e poi a vendere la birra, essenzialmente per esigenze pratiche.
Birra per piacere o per necessità?
La birra era considerata un vero e proprio alimento, valido ed economico sostituto soprattutto in periodi di carestia. Oltretutto, attraverso la sua vendita, così come dalla vendita di altre produzioni interne al monastero, monaci e monache potevano ricavare una rendita necessaria alla stessa sopravvivenza.
D’altra parte, la Regola di San Benedetto imponeva il lavoro manuale come parte integrante della vita monastica: “Sono veri monaci – scriveva il santo – se vivono del lavoro delle proprie mani”.
Non una sola birra
Ovviamente ogni monastero aveva le sue tradizioni e le sue modalità di produzione della birra. Ma, in generale, i monaci ne producevano quattro tipologie, a seconda del destinatario. Per se stessi realizzavano una birra poco alcolica, solitamente dal gusto acido. Ai pellegrini che invece visitavano o passavano per il monastero veniva offerta una versione di birra più forte e nutriente.
Naturalmente, poi, una birra più consistente era riservata all’abate.
Inutile dire che, se a far visita al monastero era il vescovo o un nobile, ad essi veniva offerta un’ulteriore tipologia di birra, di qualità decisamente superiore.