C’era un tempo in cui nei monasteri si sentiva più odore di albume che di incenso. E no, non stiamo parlando di una gigantesca frittata collettiva. Benvenuti nel mondo delle lavanderie monastiche, dove l’arte della pulizia incontrava la chimica delle proteine… e dava vita a tonache così rigide da reggersi in piedi da sole!
L’albume: il miglior amido delle lavanderie monastiche
Dal XVII al XIX secolo, i monaci (e le monache) avevano un segreto per rendere le loro vesti impeccabili: l’albume d’uovo. Non c’era ancora l’amido industriale, ma c’erano le galline. E dove c’erano galline, c’erano uova. Tonnellate di albumi venivano separati dai tuorli e battuti con pazienza per essere spennellati sui tessuti religiosi.
Poi entrava in scena il ferro da stiro rovente. Letteralmente: il calore provocava la denaturazione delle proteine dell’albume, fissandole al tessuto e garantendo una stiratura lucida, brillante e soprattutto… inodore. Perché? Perché le proteine, una volta denaturate, non marciscono.
Monastero dos Jerónimos: tra bucato e dolci
Tra gli esempi più noti di questo raffinato processo di lavanderie monastiche c’è il celebre Monastero dos Jerónimos di Belém, a Lisbona. I monaci gerolamini, maestri nella cura delle tonache liturgiche, usavano così tanti albumi da ritrovarsi ogni giorno con una montagna di tuorli.
“E ora che ci facciamo?” deve aver pensato qualcuno. E da quella domanda nacquero i pasteis de nata. Dolci squisiti, frutto di un effetto collaterale… del bucato!
Come funzionava l’inamidatura nelle lavanderie monastiche
Ecco il procedimento passo-passo:
- Preparazione: l’albume veniva separato, leggermente battuto o diluito con acqua.
- Applicazione: spennellato uniformemente sulle tonache.
- Stiratura: con ferro rovente, per fissare e asciugare.
Risultato: tonache rigide, brillanti, prive di batteri… e con un discreto aroma da soufflé domenicale.
Lavanderie vere, non metafore
Nei grandi complessi monastici, le lavanderie monastiche erano ambienti reali, spesso dotati di spazi separati per lavaggio, asciugatura e stiratura. A volte anche con personale dedicato (i fratelli conversi). Il bucato non era meno importante della preghiera: un abito disordinato non si addiceva a una mente devota.
Curiosità sparse (e profumate)
- In alcuni casi l’albume fu usato anche per rendere impermeabili pergamene o pitture su legno.
- Le tonache trattate così diventavano quasi “vetrificate”.
- L’albume asciutto non attirava batteri o odori. La scienza… in tonaca!
Oggi resta il profumo della storia
La pratica è scomparsa con l’avvento degli amidi industriali e delle lavatrici. Ma oggi, tra un bucato e l’altro, possiamo ancora raccontare che un tempo si stirava con l’uovo, e che il profumo della santità passava anche da una camicia ben rigida.
E se vi state chiedendo che fine facevano tutti quei tuorli…
Beh, ve lo raccontiamo qui: Pasteis de nata: il dolce portoghese nato tra le mura di un convento