Ildegarda e le dolci, curative barbabietole

Ildegarda e le dolci, curative barbabietole

XXII secolo, Germania: la poliedrica Ildegarda di Bingen citò la rapa rossa nel suo trattato medico “Physica”. Questo vegetale è da sempre considerato e utilizzato come un toccasana, soprattutto per chi soffre di anemia, poiché ricco di ferro.

 

La barbabietola è una pianta molto apprezzata e utilizzata fin dall’antichità: di lei, come alimento curativo, ne parla anche il Dottore della Chiesa Ildegarda di Bingen. Le motivazioni di un successo così antico sono da ritrovare nel fatto che la barbabietola (Beta vulgaris, della famiglia delle Chenopodiacee) era facile da coltivare anche in avverse condizioni climatiche e in terreni poco fertili. E fin da subito se ne erano intuite le proprietà medico-curative.

Una pianta molto antica

Le sue origini vengono rintracciate nella varietà Beta vulgaris maritima, originaria del Medio Oriente e del bacino del Mediterraneo. Della Beta troviamo tracce nei testi greci del V secolo a.C., e anche i romani la apprezzavano come alimento e medicina. A seconda della latitudine, veniva coltivata una specie piuttosto che un’altra, sia come alimento che come mangime per gli animali.

Inizialmente se ne utilizzavano solo le foglie, ma col tempo vennero usate anche le radici-tubero. Col passare dei secoli, però, se ne abbandonò l’uso o lo si limitò comunque al solo foraggio animale. Fortunatamente, nel Medioevo la coltivazione di barbabietola continuò nei monasteri e nei conventi, veri centri di “conservazione della specie” per molte piante. Era molto gradita ai religiosi, che la coltivavano nei loro orti e giardini conventuali, alternandola agli spinaci in base alla stagione.

Ildegarda e le dolci, curative barbabietole

Degli effetti curativi della barbabietola troviamo un’importante testimonianza scritta nell’XI secolo. La pianta viene infatti citata nell’opera di una delle figure più erudite del Medioevo: la monaca tedesca Ildegarda di Bingen, che fu, tra le altre cose, filosofa, musicista, erborista. Ildegarda fondò ben due monasteri, quello di Rupertsberg a Bingen (di cui non c’è più traccia) e quello a Eibingen, tuttora esistente e a lei dedicato. Nel suo trattato medico Physica, Ildegarda citò la barbabietola come rimedio curativo.

Dall’esperienza alla scienza

Le indicazioni di Ildegarda riflettevano quello che già la medicina popolare del tempo sapeva. Basandosi sull’osservazione, e pur non conoscendo la chimica e i componenti attivi della barbabietola, se ne era compresa la funzione curativa. In particolare, la capacità di “disintossicare e rinnovare il sangue”. Dati di una medicina popolare che oggi sono confermati da riscontri scientifici e dalla conoscenza delle tante proprietà nutritive della barbabietola, ricca di sali minerali, calcio, ferro, vitamine A e C…. e ovviamente zuccheri.

Buona e dolce barbabietola

La grande svolta per una rinnovata notorietà, la barbabietola la trovò con una scoperta del chimico prussiano Andreas Sigismund Marggraf. Nel 1747, Marggraf riuscì a ricavare cristalli di zucchero dalle radici della barbabietola. In realtà, già un secolo prima l’agronomo francese Olivier de Serres aveva intuito la possibilità di ottenere un succo sciropposo da questo ortaggio: ma la cosa si arenò e de Serres non riuscì ad andare oltre l’intuizione.

Con Franz Karl Achard, allievo di Marggraf, si diede vita alla prima produzione industriale di zucchero da barbabietola, che prese particolarmente piede sotto l’imperatore Napoleone Il Bonaparte ne intuì le potenzialità in un periodo in cui lo zucchero di canna era costoso e bandito per questioni politiche.

Oggi la barbabietola non è particolarmente diffusa sulle tavole europee, se non in alcuni Paesi. Nonostante le sue innumerevoli proprietà, la sua produzione è spesso legata al solo foraggio animale.